Dal Galles a Tolkien: i Mabinogion e la nascita del mito arturiano

Di solito su questo blog si ride di viaggi storti, pecore troppo sveglie e di quelle scene da turista che neanche la miglior satira di costume saprebbe inventare. Il nostro pane quotidiano sono code infinite davanti a castelli improbabili, biglietterie gestite da esseri che paiono usciti da un romanzo distopico e stradine gallesi così strette da mettere in crisi la fisica. Ma ogni tanto, lo ammetto, mi prende la strana voglia di fare sul serio. Non troppo, tranquilli: giusto il minimo indispensabile per non essere accusato di vivere in un eterno sketch comico.

Ecco perché, tra un aneddoto di viaggio ed una risata amara, ho deciso di scrivere un saggio vero, robusto, con tanto di note e bibliografia, sui Mabinogion. Perché? Perché non si può parlare di Galles, di leggende e di Artù senza fermarsi almeno una volta a guardare in faccia quelle storie che, molto prima che i francesi inventassero i cavalieri cortesi o che Tolkien disegnasse mappe della Terra di Mezzo, stavano già circolando in lingua gallese come carburante mitico. E, credetemi, se i bardi del Medioevo non avessero fatto il loro lavoro, noi oggi non avremmo nemmeno una Camelot da ridicolizzare nei film in costume.

La scelta è stata quindi naturale: mettere da parte per un attimo i racconti su pecore antropomorfe con il master in filosofia e occuparmi di letteratura, quella che di solito resta chiusa nei manuali universitari o nelle conferenze polverose, e che io invece vorrei riportare qui, sul nostro prato digitale, accessibile a tutti. La letteratura non è un soprammobile da osservare con aria grave: è una lama che taglia il tempo, un paio di occhiali che rivelano cosa c’è dietro i miti. E siccome non mi fido troppo di chi parla di questi testi come se fossero reliquie intoccabili, ho preferito affrontarli con un misto di rispetto e sarcasmo.

Questo saggio nasce quindi da una doppia ambizione, che già di per sé è comica: fare divulgazione seria in un blog che di solito racconta quanto sia difficile ordinare una birra in un pub gallese senza sembrare turisti spaesati. Ma è proprio questa la sfida: mostrare che si può ridere e allo stesso tempo imparare qualcosa, che si può scherzare sulle code ai musei e intanto spiegare come mai Blodeuwedd sia diventata gufo e perché Rhiannon meriti più solidarietà di mille principesse Disney.

Scrivere questo saggio è stato anche un atto di resistenza personale. Viviamo in un’epoca in cui tutto deve essere breve, immediato, scorrevole come un reel di dieci secondi. Io invece vi propongo un testo che, se stampato, potrebbe essere usato come arma impropria. È lungo, dettagliato, pieno di storie, collegamenti e note. Non è pensato per scorrere su uno smartphone in fila al supermercato, ma per sedersi comodi, magari con un tè caldo (o una pinta, se preferite), e concedersi il lusso di leggere come si faceva una volta.

Quindi sì, la satira resta, le pecore non se ne vanno, ma in questo spazio troverete anche la voglia di prendere sul serio la letteratura. Perché, in fondo, ridere di un mito è un modo per amarlo di più, e raccontarlo seriamente è un modo per non dimenticare che anche dietro le barzellette ci sono radici profonde. Questo saggio sui Mabinogion è la mia dichiarazione di amore e di ironico rispetto per una terra meravigliosa: una lunga passeggiata tra leggende gallesi, Artù in versione proto-eroe, e Tolkien che, in mezzo a tutto questo, prende appunti per la Terra di Mezzo.


Introduzione

C’è un Galles che non si trova sulle mappe turistiche, fatto di castelli diroccati, colline ventose e pecore che sembrano custodi di segreti più antichi dei loro pastori. È il Galles dei Mabinogion, la più celebre raccolta di racconti medievali in lingua gallese: non un libro organico, ma un arcipelago di storie che hanno viaggiato per secoli da una voce all’altra prima di fissarsi sulla pagina. Il loro fascino è duplice: nascono da un territorio concreto – toponimi, colline, guadi, foreste – e insieme costruiscono un immaginario che trascende il luogo e si proietta verso l’universale. (Universale: come il senso di colpa quando chiudi un libro per aprire Instagram)

Queste storie hanno una struttura che porta il segno dell’oralità. Liste interminabili, formule ricorrenti, descrizioni che tornano con minime varianti: non sono ridondanze, ma strumenti di memoria. Il bardo che recitava davanti alla sua comunità aveva bisogno di appigli per ricordare, e il pubblico di quei racconti trovava nella ripetizione la certezza di appartenere a una tradizione che non si interrompeva. (Gli "unici binge-listener" prima di noi: i bardi. Con meno spoiler e più whisky)

Nota di lettura
Nei Mabinogion la natura non è sfondo ma interlocutore. Una foresta può inghiottire, un lago può custodire un enigma, un guado può aprire la porta verso un altro mondo.

L’oralità non impedì mai alla narrazione di affrontare temi centrali della vita sociale. La caccia, il matrimonio, la guerra, il governo: tutti trovano spazio in racconti che oscillano tra il quotidiano e il meraviglioso. Ogni vicenda è insieme intrattenimento e riflessione, memoria collettiva e parabola.

Il contesto storico rende questa funzione ancora più evidente. Il Galles medievale era frammentato politicamente, sottoposto alle pressioni dei vicini anglonormanni, ma ricchissimo culturalmente. L’identità di un popolo non poteva essere garantita dalle istituzioni, spesso deboli o minacciate: veniva custodita nelle genealogie, nelle leggende, nella memoria orale. Raccontare significava resistere.

Artù entra in scena in questo orizzonte. Nei Mabinogion è ancora un capo tribale, circondato da guerrieri straordinari, ma già dotato di un carisma che lo rende qualcosa di più. Non c’è ancora Camelot, non c’è la Tavola Rotonda, ma ci sono le premesse per entrambe: un capo capace di garantire protezione, una corte come luogo di straordinarie potenzialità. Da qui parte la lunga metamorfosi che trasformerà l’eroe locale in re universale.

L’introduzione ai Mabinogion non può che mettere in luce questa duplicità: radicamento e apertura, località e universalità. Sono racconti nati da un popolo e da un paesaggio, ma destinati a parlare oltre i loro confini. Se oggi li leggiamo non è solo per curiosità erudita, ma perché ci ricordano che ogni mito nasce da un luogo e, nel raccontarlo, riesce a valicare ogni frontiera.