11 agosto – Sole, fortezze e ragni ninja della notte
(con telecronaca ovina, documentario BBC e intervista esclusiva)
Il sole splendeva, e non era affatto scontato. Qui, nel cuore verde della campagna di quella che un tempo fu la gloriosa Mercia, il meteo ha la stessa stabilità emotiva di un adolescente davanti a un SMS lasciato in “visualizzato”.
Quel mattino, invece, il cielo era di un azzurro limpido, quasi insolente, e noi ci siamo svegliati tardi, beandoci dell’idea di una giornata tranquilla.
Quello che non potevamo sapere era che eravamo sopravvissuti— per miracolo — a un attacco notturno che resterà negli annali della storia familiare.
L’assalto del ragno ninja alle chiappette di Sara
Ore 00:30. La notte inglese è un velluto silenzioso. Nella stanza, l’unico rumore era il mio respiro regolare, il fruscio sommesso delle lenzuola e — all’esterno — il canto distante di un gufo.
Poi, all’improvviso, il silenzio fu squarciato da un urlo. Non un urlo qualsiasi, ma un grido che avrebbe fatto risvegliare anche le statue di pietra di Stonehenge.
Apro gli occhi e vedo il piumone levitarsi verso il soffitto come se fosse stato posseduto da uno spirito vendicatore. Subito dopo, la luce si accende con violenza, e nella frazione di secondo in cui la retina si adatta, appare lei: Sara.
Non la Sara che conoscete, tranquilla, sorridente. No. Questa era una Sara da battaglia, scattata fuori dal letto con un salto felino, le braccia tese, i capelli scompigliati, l’aria da “O vinco io o vinco io”.
A metà del volo, in una mossa che neanche nei film di arti marziali, rilancia il piumone sul letto. La mossa non era casuale: sotto, intrappolato, c’era il vile aggressore. Un ragno. Ma non un ragno normale, no: un ragno ninja addestrato nella misteriosa arte dell’infiltrazione.
Era riuscito a risalire la gamba della malcapitata fino a piazzarsi, tronfio, sulla chiappa sinistra, probabilmente per contemplare il paesaggio e valutare il punto strategico migliore per il suo attacco finale.
Io, intorpidito dal sonno, osservo la scena chiedendomi se non fosse tutto un sogno causato dalla cena piccante della sera prima. Poi, realizzando la minaccia, mi preparo al contrattacco.
Alzo il piumone: eccolo lì, l’assassino silenzioso. Concentro tutta la mia energia in un solo gesto e scocco il “dito della redenzione”. Colpo secco. Il ragno parte in orbita verso l’ignoto, forse atterrando in un angolo remoto della stanza, forse direttamente in Galles del Sud.
Fine della storia, penserete.
E invece no.
L’epopea di Sara, Guardiana della notte
Sara, lungi dal sentirsi al sicuro, assume la posizione di guardia. I suoi occhi scrutano ogni angolo, le orecchie captano anche il respiro delle tende. È convinta che il ragno non sia finito nel vuoto, ma che si sia rifugiato dietro il tendaggio… o, peggio, dentro la sua valigia.
Luce accesa per ore, una sorta di katana invisibile stretta tra le mani, pronta a colpire. Ogni ombra diventa un segnale d’allarme, ogni scricchiolio un avvertimento.
Io, nel frattempo, torno lentamente tra le braccia di Morfeo, convinto che l’eroina saprà proteggere il regno delle sue chiappette fino all’alba.
La telecronaca delle pecore
Fuori dalla finestra, due pecore locali — le sorelle Wynne e Meinir — stavano assistendo alla scena. Non pecore normali, ma note nella valle per commentare ogni evento umano con la stessa foga di due ultras al pub.
«Meinir, guarda là! È cominciato! L’umana rossa è in piedi!»
«Te l’avevo detto! Ragno al 34° minuto del secondo tempo, esattamente come l’anno scorso a Powys!»
Seguono la scena con attenzione:
• Balzo fuori dal letto → “Apertura da manuale!”
• Lancio del piumone → “Mossa rara anche nei tornei professionali!”
• Il mio colpo di dito → “Rigore calciato con precisione chirurgica!”
“E qui, signore e signori, ci troviamo davanti a un esemplare raro: l’Homo Sara Vigilans, una femmina adulta in piena modalità difensiva.
L’attacco notturno da parte dell’aracnide ha attivato in lei un istinto primordiale, tipico di questa specie, che la spinge a rimanere in posizione eretta per ore, in attesa di un nemico che potrebbe non tornare mai.
Notate il modo in cui stringe tra le mani un’arma immaginaria: è un comportamento rituale, atto a scoraggiare l’aggressore.
Il maschio della specie, invece, come possiamo osservare sul lato destro del letto, ha già ripreso il suo ciclo di sonno, dimostrando una totale fiducia — o totale incoscienza.
Questa scena si ripeterà innumerevoli volte nella stagione estiva, fino a quando l’Homo Sara Vigilans non potrà migrare verso territori privi di ragni ninja.”
(Telecamera immaginaria puntata sulle due pecore, con Attenborough che sbuca di lato con il microfono)
Attenborough:“Wynne, Meinir, voi avete assistito in prima fila a questo evento. Com’è stato?”
Wynne:“Intenso. Ti dirò, Sir David, non vedevo tanta tensione dai tempi del grande inseguimento della lattuga del ’19.”
Meinir:“Io invece ho trovato straordinario il colpo di dito. Precisione, tempismo… roba da manuale.”
Attenborough:“Credete che il ragno tornerà?”
Wynne:“Oh, se tornerà. Quelli come lui hanno sempre un piano B. Magari stavolta punta alla chiappa destra, per cambiare schema.”
Meinir: “Speriamo. Ci piace il dramma.”
La colazione da campioni (e camerieri delusi)
La mattina, ci presentiamo alla colazione dell’hotel, vincitrice di un “Breakfast Award”. Il buffet è un inno al carboidrato: torte, pane fresco, uova in ogni modo, bacon lucido come metallo brunito, fagioli, pancake, e un angolo dedicato alle marmellate che sembrava un laboratorio di alchimia.
Scegliamo con moderazione.
Errore madornale: il personale ci guarda come se avessimo rifiutato un invito a cena da Buckingham Palace
Beeston Castle: il castello dei polpacci in fiamme
Partiamo per il Beeston Castle, a una trentina di miglia. La salita è tosta: tre livelli di difese, fossato/burrone di 25 metri e pendenze che farebbero piangere un alpinista. Arriviamo in cima grondanti, ma la vista ripaga ogni goccia di sudore: dall’alto, puoi vedere nemici in arrivo già mentre fanno colazione a chilometri di distanza.
Scendiamo da un sentiero che ci porta a una ricostruzione di una casa dell’800 a.C., dove scopriamo che la vita dell’epoca era un misto di sopravvivenza e arredamento minimalista estremo.
Pausa pranzo e ritorno – Cronache dal The Shady Inn
Dopo l’epopea del Beeston Castle, i nostri polpacci imploravano pietà. Decidiamo di assecondarli e cercare un posto dove rifocillarci.
La scelta cade su un nome che suona promettente: The Shady Inn. Già il nome evoca ombra fresca, tavoli in legno e un cameriere che ti porta una pinta di birra come fosse un dono sacro.
Il pub si rivela un gioiellino nascosto: un giardino verde e curato, delimitato da cespugli di rose e lavanda, affacciato su un canale lento e silenzioso, punteggiato da anatre pigre e libellule che facevano avanti e indietro come frecce azzurre.
L’aria sapeva di pane tostato e di erba tagliata di fresco. In lontananza, si sentiva il clac-clac di una chiusa che si apriva per far passare una lunga barca.
Ci sediamo ad un tavolo; il menù era… da pub inglese. Nulla di elaborato, ma solo perché all’ingresso abbiamo notato il cartello “la pizza qua si fa fresca” decidiamo di ordinarla e dividercela come piatto principale, contornata da paté di pollo e patatine bacon&chedar. Effettivamente nell’angolo del giardino un ragazzo lungo e sottile preparava le pizze come un napoletano di nascita e di sangue, unica differenza è che stirava la pizza con un mattarello… beh non si può prendere la perfezione in ogni risvolto della quotidianità.
Il vero spettacolo: l’atmosfera
Perché The Shady Inn si è guadagnato un “voto: sì” non per quello che abbiamo mangiato, ma per come ci siamo sentiti lì.
C’era una quiete quasi teatrale, come se il tempo avesse deciso di rallentare apposta per farci assaporare il momento: il vento che muoveva piano le foglie, il sole filtrato dai rami, il suono dell’acqua che lambiva le sponde.
Sul canale, una barca di legno è passata lentamente. A bordo c’era un cane che fissava l’acqua come se stesse meditando di tuffarsi per inseguire ogni singola libellula.
E lì, tra un sorso di coke e una forchettata di patatine iper caloriche, ho avuto quella sensazione tipica dei viaggi: sei lontano da casa, ma in quel preciso momento non vorresti essere altrove.
Il ritorno all’hotel
Rientriamo senza fretta. Le stradine di campagna sono strette, bordate di siepi così fitte che sembra di viaggiare in un tunnel verde.
In alcuni tratti, l’odore dell’erba tagliata lascia il posto a quello più deciso delle stalle, segno che da qualche parte, dietro la cortina di piante, delle mucche stanno vivendo la loro giornata con l’invidiabile calma bovina.
Arrivati in hotel, il programma era chiaro:
1. Doccia bollente per lavare via la polvere del castello e la “modestia” del pranzo.
2. Una mezz’ora di relax, gambe distese, sguardo al soffitto, meditazione interiore sul senso della vita e su dove potremmo trovare un dolce decente per cena.
La cena: il Cheshire Cat
La sera ci dirigiamo a Nantwich, dove ci aspetta il Cheshire Cat. Il nome è già un invito alla curiosità — sembra uscito da Alice nel Paese delle Meraviglie, e in effetti l’atmosfera dentro è un po’ surreale: soffitti bassi da dover chinare la testa, arredamento che oscilla tra il pub tradizionale e il salotto di una zia eccentrica, luci soffuse che ti fanno sentire come dentro un segreto.
Il cibo è buono… ma piccante. Non “ah, che bel tocco di peperoncino”, no. Parlo di un piccante che ti fa riconsiderare la tua esistenza, che ti fa guardare il bicchiere d’acqua come fosse la tua unica ancora di salvezza, ma davanti hai una pinta di birra locale agrumata!!!
A metà del piatto, ero già pronto a firmare un trattato di pace con qualsiasi ragno ninja in cambio di una cucchiaiata di yogurt fresco.
Il ritorno dal Cheshire Cat – Missione Piccante
Uscire dal Cheshire Cat è stato come emergere da una caverna incantata: fuori l’aria era fresca, quasi frizzante, mentre dentro avevamo lasciato un’atmosfera calda e speziata che ci aveva intorpidito cervello e papille gustative.
La pancia piena di peperoncino non era un problema… finché non abbiamo iniziato a muoverci.
Appena in macchina, ho acceso il motore e… whum, una vampata di calore è risalita dal centro dello stomaco, come un drago che decide di provare il fiato incendiario.
Sara, seduta accanto, aveva lo sguardo serio di chi sta calcolando la traiettoria di fuga verso la toilette più vicina in caso di emergenza.
Maddalena, invece, rideva: “Oh, papà, sembri un geyser che sta per esplodere”.
Le stradine notturne: il tunnel verde diventa nero
La strada di ritorno era la stessa che di giorno avevamo trovato pittoresca e idilliaca. Ma di notte, con le luci basse della macchina che illuminavano appena due metri davanti al cofano, era un’altra storia: un tunnel nero e stretto, bordato da siepi che adesso sembravano più le mura di un labirinto medievale.
Ogni curva era una sorpresa. Non sapevi mai se dietro ci fosse:
• un trattore con i fari spenti,
• un branco di mucche in libera uscita,
• o un gruppo di pecore in riunione sindacale.
A un certo punto, in mezzo alla strada, ci siamo trovati davanti tre pecore immobili, disposte in formazione a triangolo, che ci fissavano come in un duello all’OK Corral.
Ho rallentato. Loro non si sono mosse.
La pecora in prima fila (giuro) ha fatto un passo verso di noi.
“Ecco, ora ci chiedono il pedaggio”, ha mormorato Sara, stringendosi nella giacca.
L’effetto collaterale del piccante
Ripartiamo. Ma a metà strada, il piccante del Cheshire Cat inizia a manifestarsi con effetti sonori… come dire… imbarazzanti.
Maddalena, propone di alzare il volume della musica e cantare a squarciagola tutte le hits degli 883. Funziona il concerto dei tromboni viene coperto dall’”uomo ragno”. E quando vi domanderete chi lo ha ucciso…beh probabilmente la risposta la potrete intuire da soli!
Per il resto del tragitto, tra risate, finestrini abbassati e battute di dubbio gusto, l’auto è diventata un piccolo teatro itinerante.
L’arrivo in hotel
Arriviamo finalmente all’hotel. L’aria fresca della notte ci avvolge e, con lei, la sensazione di essere tornati in salvo.
Ma mentre spegnevo il motore, Maddalena ha lanciato il colpo finale:
“Se stanotte torna il ragno ninja, papà… fagli assaggiare il piccante del Cheshire Cat. Così lo mandiamo in pensione anticipata.”
E lì ho capito che il vero pericolo della giornata non era il burrone del Beeston Castle, né il ragno ninja, ma il menù di quel maledetto gatto del Cheshire.
Gossip serale e timori notturni
La serata si chiude in giardino, con Maddalena che racconta — con la soddisfazione di un generale in pensione — la lunga lista di “due di picche” inflitti a pretendenti sfortunati.
Poi tutti a nanna, sperando che il ragno non torni. Perché l’ultima cosa che voglio è tornare a Verona con una Spidergirl in casa: immaginate Sara che lancia ragnatele dai polsi e, per mania di pulizia, le raccoglie subito con lo Swiffer.
Sarebbe una spirale infinita: ragnatele lanciate, aspirate, rilanciate, riaspirate… fino a consumare il parquet.
E così, mentre fuori le sorelle Wynne e Meinir si accucciano sull’erba discutendo della “partita” notturna e delle possibili rivincite, noi ci addormentiamo, pronti ad affrontare un altro giorno di avventure merciane.
(Ambientazione: stanza buia, silhouette del ragno sfocata. Sottotitolo in basso: “Identità protetta per motivi di sicurezza”.)
Giornalista: “Allora… ci racconti com’è andata quella notte?”
Ragno: “Prima di tutto, vorrei dire che io non sono un cattivo. Sono un artista. Volevo solo ammirare il panorama… e sì, ok, la collina della chiappa sinistra dell’umana era particolarmente panoramica.”
Giornalista: “Quindi non era un attacco?”
Ragno: “Ma quale attacco! Stavo facendo parkour! Poi all’improvviso… BAM! il piumone mi cade addosso, luce sparata in faccia, e il maschio umano mi lancia nello spazio come se fossi spazzatura. Ho ancora vertigini.”
(Il ragno si sistema gli occhialini neri e sospira)
Ragno: “Certo, ammetto che forse il tempismo non era dei migliori… ma io sono un ninja! Vivo di adrenalina. Non è colpa mia se il mio ninja training mi ha portato lì. E comunque… non avete idea di cosa significhi finire schiacciato sotto un piumone matrimoniale. Ti senti come un panino in una pressa.”
Giornalista: “E adesso, quali sono i tuoi piani?”
Ragno: “Oh, non tornerò subito… troppo rischio. Ma un giorno… un giorno sì. E magari stavolta… punto alla chiappa destra.”
(Musica drammatica. Dissolvenza in nero. Titolo in sovraimpressione: “Il ragno ninja è ancora a piede libero”.)
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