Galles Giorno 2 – Llanddwyn Island, pantaloni smarriti, fari epici e un paese impronunciabile
“La vera avventura comincia quando dimentichi i pantaloni giusti.”
– Proverbio da viaggio (inventato stamattina alle 7.45)
La giornata inizia con un dolce risveglio alle 7:30 e una colazione apparentemente serena alle 8:00. Dico “apparentemente” perché, come in ogni commedia che si rispetti, anche questa giornata parte con un colpo di scena degno di una sitcom gallese.
Appena pronti a uscire dalla stanza, bardati per l’escursione, ecco che compare Lei. Quella che da giorni si vanta di essere “quella che non combina più guai”. Si presenta con un look da spedizione invernale sull’Everest: salopette da sci stile Monte Bianco, con l’aria di chi ha appena ricevuto l’incarico di attraversare l’Himalaya a dorso di yak.
— “Ma è l’outfit perfetto!”
Biascica, cercando disperatamente di difendere l’indifendibile.
Dopo una breve indagine, la verità viene a galla come una pecora che affoga: i pantaloni da trekking sono rimasti beatamente a Verona, accoccolati in un cassetto insieme al buon senso. Fortunatamente Sara e la nostra eroina condividono la stessa taglia, e il cambio d’emergenza salva la missione.
Llanddwyn Island – Dove la marea detta legge
Con un leggero ritardo ma tanto entusiasmo, partiamo alla volta di Llanddwyn Island, una piccola penisola-talismano a sud di Anglesey, accessibile solo durante la bassa marea (e quindi fortemente sconsigliata a chi, come noi, ha l’orologio biologico settato su “ritardo cronico”).
Sette chilometri a piedi immersi tra prati verdi, spiagge dorate e un sentiero che ci guida verso un faro poetico all’estremità della penisola. Il Twryn Du Lighthouse, anche detto “il Faro delle foto da cartolina”, ci accoglie silenzioso, in compagnia del vento e di alcune pecore che, secondo alcune fonti, lavorano lì come custodi part-time.
Nota utile per i futuri esploratori: verificate la marea, oppure rischiate di restare isolati a meditare con i gabbiani fino al tramonto.
L’attacco italiano
Il rientro dalla camminata è placido, tra risate e piedi polverosi, fino a quando una voce familiare rompe l’armonia del sentiero:
— “Ma siete italiani?”
Ci giriamo. Un trio, sorridente e ciarliero, ci guarda come se fossimo una fontana di acqua fresca nel deserto gallese. Con gentilezza rispondiamo sì, anche se l’istinto gridava “NO, siamo del Liechtenstein!”
— “Siete i primi italiani che incontriamo in Galles!”
Ed è proprio questo il punto. Siamo venuti in Galles proprio per non incontrarne altri. Ma nulla da fare. L’invito al silenzio implicito non viene recepito. Loro parlano. Noi annuiamo. Loro parlano. Noi pianifichiamo la fuga.
Fuga che avviene, gloriosa, verso la prossima tappa: il pranzo.
Oyster Catcher – Cibo, silenzio e sollievo
Approdiamo al The Oyster Catcher, un ristorante elegante e rilassato dove l’unico italiano presente è quello nel menù (le “tagliatelle” scritte con cinque errori ortografici). Ci rifocilliamo come viaggiatori medievali dopo una crociata: carne succulenta, aragoste tenere, e tortini al pesce così fumanti che sembrano respirare.
E poi, ricaricati e soddisfatti, via verso un altro faro.
South Stack Lighthouse – Scale, vento e gallese hardcore
Il South Stack Lighthouse si presenta maestoso in cima a una scogliera, con l’oceano che urla sotto di lui e il cielo che sembra trattenere il fiato. Si raggiunge scendendo una scalinata di pietra lunga quanto un esame di coscienza post-natalizio. Bella la discesa, ma il ritorno è una scalata alpina di quarto grado, con tanto di incoraggiamenti reciproci e promesse mai mantenute tipo “è l’ultimo scalino”.
Il vero premio, però, ci attende in fondo: il guardiano del faro. Un uomo dalla voce profonda e dallo spirito fiero che ci accoglie con una lezione accelerata di lingua gallese spinta. Come se fosse un incantesimo magico, pronuncia in un colpo solo il nome del paese:
Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch
Noi ci guardiamo. Un silenzio reverente. Poi proviamo anche noi. Ed è un disastro fonetico, come se un treno avesse deragliato in bocca. Ma almeno ci abbiamo provato.
Il paese impronunciabile – La foto del giorno
Una volta tornati alla macchina, non possiamo non passare per il paese dal nome impossibile, appunto Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch (se nel frattempo vi siete persi, sappiate che è normale).
Foto di rito davanti al cartello della stazione, sorriso fiero e tentativo fallimentare di pronunciare correttamente il nome, anche dopo l’eccellente corso avanzato tenuto dal custode-fenomeno.
Rientro, cena e atmosfere gallesi
Stanchi ma felici, rientriamo in hotel per una doccia liberatoria e un meritato riposo.
La cena è al Tŷ Gwyn Hotel, un posto che sembra uscito da un racconto di Roald Dahl: ogni tavolo è diverso, le sedie sono un catalogo di mercatini dell’usato, il soffitto è basso, le luci sono calde e l’atmosfera è di quelle che ti fanno venire voglia di rimanere lì a scrivere poesie. Strano ma affascinante, come il Galles.
E ora, mentre Maddalena dorme, Sara legge e io scrivo queste righe, l’unico pensiero che resta è:
Domani sarà una giornata impegnativa. Ma almeno avremo i pantaloni giusti.
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