Giorno 4 – Il Galles dei Castelli, delle Prenotazioni Fantasma e delle Pecore VIP
Svegliarsi senza dover allestire un campo base o attrezzare corde e moschettoni? Oggi sì che si vive da nobili. Maddalena si stiracchia come una gattina, Sara si concede due minuti in più sotto le coperte, ed io… io mi sento in pace con l’universo. L’unico pensiero è andare a colazione e capire quanti barattoli di marmellata possiamo svuotare senza farci cacciare dal buffet. Oggi nessuno osa ordinare uova: è giornata da pane imburrato, confettura (rigorosamente spalmata in modo antiestetico, vale per tutti tranne che per Sara, regina dello spalmo) e sguardi complici tra veri intenditori.
Poi tutti a bordo della nostra Volvo astronave, destinazione: Penrhyn Castle.
Penrhyn Castle – Dove i VIP siamo NOI (e le pecore ce lo ricordano)
Se pensate che la tessera del National Trust sia solo un abbonamento per risparmiare sull’ingresso, siete fuori strada. È un passaporto per l’aristocrazia britannica. Appena arriviamo a Penrhyn, ci accoglie una signora in livrea che, piegandosi in un inchino più profondo della trincea di Ypres, ci sussurra: “Benvenuti Lord e Lady Garden”. Maddalena ride sotto i baffi, e io mi convinco di essere discendente diretto dei Normanni (anche se il massimo del mio lignaggio è un trisavolo che vendeva vino sfuso a Verona).
Penrhyn Castle è ENORME. Ma di quei enormi che non puoi descrivere con “grande”, serve proprio la parola imbarazzante. La famiglia Pennant, che lo fece costruire nel XIX secolo, aveva fatto fortuna con la tratta degli schiavi e la produzione di zucchero nelle piantagioni della Giamaica. Soldi sporchi, ma con un castello così bello che le pecore locali hanno indetto uno sciopero generale per essere trasferite nei giardini reali (fonti non confermate parlano di una pecora sindacalista di nome Shirley che ha già preso contatti con il Parlamento).
Camminiamo per ore tra sale gotiche, scaloni di marmo e librerie alte come palazzi, fino a quando Maddalena esclama: “Ma quindi… noi siamo più VIP di loro, vero papà?” — Ovviamente sì, Maddalena. Loro avevano le piantagioni, noi abbiamo la tessera del National Trust. E vince chi ha il tappeto rosso sotto i piedi, non chi lo paga.





Beaumaris Castle – L’Eterno Incompiuto (eppure affascinante)
Prossima tappa: Beaumaris Castle. Un castello che definire “work in progress” è fargli un complimento. Venne iniziato nel 1295 da Edoardo I d’Inghilterra (che, guarda caso, si chiamava proprio come me, ma senza la Volvo), e non fu mai terminato per questioni di… budget cuts. Pare che il Re avesse finito i soldi dopo aver costruito troppi castelli consecutivi (in Galles li facevano a pacchetto, tipo abbonamento Netflix, ma senza lo sconto).
Il risultato? Una fortezza perfettamente geometrica, con mura enormi e fossati profondissimi, ma con interni che sembrano più un workshop di muratori distrattiche una residenza reale. “Papà, è come la cameretta quando lasci tutto a metà!” – grazie Maddalena per il paragone.









Le pecore di Beaumaris, però, sono fierissime: “Noi preferiamo l’autenticità all’opulenza,” ci dice un montone con occhiali da intellettuale, mentre mastica il cartello “lavori in corso dal 1295”. Filosofia gallese.
Pausa pranzo – Ricarica batterie (e stomaci)
Dopo due castelli e un discreto numero di passi, ci concediamo una meritata pausa pranzo in un ristorante affacciato sullo stretto di Menai Bridge. Non entreremo nei dettagli del menù, ma vi basti sapere che era tutto semplicemente perfetto. Ci siamo seduti, abbiamo mangiato con gusto e per una mezz’ora il mondo fuori non è più esistito. Ogni tanto anche noi, nel nostro piccolo, sappiamo goderci il silenzio… prima di risalire sulla Volvo e ripartire all’attacco.
Caernarfon Castle – Dove Re Carlo è diventato Principe (e noi scalatori di torri)
Il terzo castello della giornata è Caernarfon, ed è qui che Carlo d’Inghilterra fu investito Principe di Galles nel 1969. Un evento solenne, con tanto di cerimonia medievale rivisitata, che le pecore locali ancora oggi ricordano con nostalgia (pare che la pecora Shirley fosse tra gli invitati speciali, in rappresentanza del “Consorzio Lanaiolo”).
Il castello è una muraglia colossale, con torri che sembrano messe lì apposta per sfidare i turisti a salire e scendere migliaia di scalini. E ovviamente, noi accettiamo la sfida. Dopo la terza torre, Edoardo senior (cioè io) inizia a sentire le gambe urlare improperi, Sara ride e Maddalena si diverte a contarci i passi ad alta voce, sadicamente.








Conwy – La prenotazione fantasma del Jackdown Restaurant

La giornata sembra avviarsi alla conclusione, ma il destino (e il sistema di prenotazioni gallese) ha in serbo la sua vendetta. Abbiamo prenotato la cena al Jackdown Restaurant, ore 19 precise. O meglio, noi pensavamo di aver prenotato. Il loro sistema, invece, aveva deciso di giocare a Risiko col nostro stomaco.
Arriviamo, belli impettiti, e comunichiamo il nostro nome con quell’aria da clienti fedelissimi che aspettano solo il cameriere con il tovagliolo al braccio. La ragazza alla reception ci guarda, controlla il tablet, fa un sorriso gentile (di quelli che già sai non porteranno buone notizie) e ci spara: “Mi spiace, non esiste nessuna prenotazione. È colpa del sistema, succede spesso.”
Succede spesso?! In quel momento ho avuto la visione di un druido gallese, in cima allo Snowdon, che lancia rune e scrive le prenotazioni su tavolette di legno, mentre un gregge di pecore gli suggerisce chi far mangiare e chi no.
Restiamo lì, con il sorriso tirato di chi è stato appena derubato di una cena promessa, lo stomaco che fa più rumore di una cornamusa difettosa, e una sola certezza: in Galles, se vuoi prenotare un ristorante, ti serve un fax, un piccione viaggiatore e forse anche il benestare di Merlino.
Hidden Chapel – Dove il Piano Risuona e il Cibo è una Rivelazione
Decidiamo di ripiegare su un posto trovato al volo: il Hidden Chapel Restaurant. Il nome è già una promessa, e non delude. Entriamo e… siamo in una cappella sconsacrata, con panche da chiesa al posto delle sedie, un organo imponente e un pianista che suona colonne sonore di film in sottofondo.
Mentre gustiamo piatti sorprendenti e brindiamo con una bottiglia di Châteauneuf-du-Pape (o come dice Maddalena “Chateneud du Papà”, cara pensa sempre a me), ci rendiamo conto che questa cena non prevista è diventata uno dei momenti più belli del viaggio. E non so se sia stato il vino, la musica, o quella pecora apparsa magicamente sulla vetrata colorata con un’espressione di benedizione, ma era tutto perfetto.
Rientro da Rock Band (con Cicchetto Finale)
Il ritorno in albergo è un concerto su quattro ruote. Radio a palla, noi tre che cantiamo a squarciagola, probabilmente disturbando qualche gregge in fase di meditazione serale. Chiudiamo la serata con un cicchetto, brindando alle nostre “sacre pudenda” che oggi hanno dato il massimo.
Conclusione
Il Galles dei castelli è un viaggio tra storia, imprevisti e… pecore che osservano tutto con aristocratica superiorità. E se è vero che non tutti i castelli sono stati finiti, il nostro itinerario oggi ha dimostrato che le sorprese più belle arrivano proprio quando i piani saltano. Specialmente se il piano, letteralmente, te lo suonano dal vivo in una cappella!
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