La giornata in cui il meteo ci prese a schiaffi (ma con eleganza)

La giornata in cui il meteo ci prese a schiaffi (ma con eleganza)

Ring ring ring!!!

La sveglia inizia a suonare come se dovessimo scalare l’Everest. In effetti oggi il programma prevede più di 900 metri di dislivello, roba da fare impallidire anche Reinhold Messner. Ma non avevamo considerato una variabile fondamentale: il vero meteo gallese. Quello autentico. Quello che ti fa venire voglia di abbracciare un camino e di non lasciarlo mai più.

Apriamo la tenda della camera, e… TADAAA! Eccolo. Pioggia a catinelle, vento che sfiora gli 80 km/h, e un cielo grigio topo che più grigio non si può. A quel punto, si è convocato il “Consiglio di Guerra” direttamente al tavolo della colazione. Occhi sulla mappa, occhi sulla colazione. Due morsi al mio pancake e la decisione è già presa: il trekking spaccagambe si farà domani. Oggi si va in modalità esploratori della domenica: destinazione Castell y Bere, e se gli dei del meteo avranno pietà, una capatina alle cascate di Rhaeadr Mawddach.


La tempesta perfetta (su stradine più strette della dieta di una modella)

Partiamo, carichi di entusiasmo e… acqua! Non quella nello zaino, quella che ci arriva addosso orizzontalmente come schiaffi di un vendicativo Poseidone gallese. Le stradine già di per sé strette, oggi sembrano uscite da un videogioco anni ’90: curve cieche, carreggiata da monociclo e ogni tanto un pecorone che ti guarda con aria di superiorità zen.

Guidare su quel budello di asfalto? Facile come infilare un orso polare in un sacco a pelo. Ci mancava poco che la macchina, con un paio di colpi di sterzo da stuntman, si mettesse a viaggiare su due ruote come nelle scene migliori di Fast & Furious.

Parcheggiamo. Finalmente. O forse no.


Master & Commander: la tempesta del Castell y Bere

Fuori dai finestrini il panorama è da kolossal: nuvole basse, raffiche di vento che farebbero volare anche un frigo, e pioggia laterale. Solo noi, i nostri gusci in Gore-Tex, e una serie di contorsionismi degni del Circo Togni per riuscire a vestirci in macchina senza spalancare porte (che sarebbero finite a Bala).

Il sentiero verso il castello è suggestivo… se per suggestivo intendete una doccia a cielo aperto sotto una cascata mobile. Ma arrivare al Castell y Bere, con il vento che ti schiaffeggia e la pioggia che ti lava i peccati, beh, ha un suo fascino. Un fascino tutto gallese, fra il mistico e il masochistico.

Mutande fradicie, ma cuori felici.


Cambio tattico (con pecora infiltrata)

Il ritorno alla macchina è un piccolo naufragio su gambe. Saliamo fradici come spugne e decidiamo per uno stop tecnico in hotel. Cambio asciutto, pudenda comprese. E qui succede la scena madre della giornata: io alla guida del nostro transatlantico a quattro ruote, Maddalena dietro che sgrana gli occhi come se stessimo fuggendo da una mandria di leoni, e Sara… in mutande, sul sedile passeggero. E no, non cito la pecora che nel frattempo si è infilata silenziosamente sul sedile accanto a Maddalena. Probabilmente cercava riparo, ma per noi era ovvio che fosse un agente segreto del MI6 in incognito. Ogni tanto allungava la zampetta sulla mia spalla, come per dirmi: “Curva a sinistra tra 30 metri, ma senza fare cavolate stavolta!”


Cascate, panini e missioni segrete (fallite)

Dopo il cambio d’abito, il sole decide di onorarci della sua presenza. Sarà stato il nostro packet lunch “vero” (sandwich, frutta, brownie… roba seria) ad averlo convinto. La strada per arrivare al parcheggio delle cascate? Naturalmente stretta come il buco della serratura di una cassaforte, ma ormai siamo cintura nera di microguidaggio gallese.

Le Rhaeadr Mawddach sono spettacolari, ingrossate dalla pioggia che in mattinata ci aveva praticamente affogati. A un certo punto, però, ci troviamo davanti a un problema: la strada per le miniere d’oro è segnalata come “chiusa”. Noi, che la prudenza la usiamo solo quando cuciniamo la pasta, decidiamo di andare lo stesso.

Pochi metri dopo, il cartello della morte: “This land is a site of special scientific interest. Adits and shafts on this site are extremely dangerous and should not be entered under any circumstances.” (Vedi foto allegata).

Oh, un sito di speciale interesse scientifico pericolosissimo… Ma dai, sembra una stradina carrabile, larga persino più di quella che abbiamo percorso in macchina!

Decido allora di passare in modalità “Cadetto Spaziale della USS Enterprise” e mi spingo in avanscoperta, lasciando Sara e Maddalena 100 metri dietro. Lo so, mi state già immaginando con il tema di Indiana Jones in sottofondo. Le ragazze insistono nel dire che erano rimaste indietro per fotografare una farfalla…beh fate voi, sembra ovvio a chi credere. Dopo un po’, ecco i segnali inquietanti: striscioline rosse appese ai rami degli alberi. Un lampo! Mi vengono in mente tutti quei film di guerra in cui i cecchini appendono le strisce per calcolare il vento. Il mio addestramento (o meglio, il binge-watching di film bellici) mi suggerisce che forse è il momento di annullare la missione.

Missione abortita, si torna indietro, piano B: il sentiero aperto. Ottima scelta, perché, spoiler, sul secondo sentiero non ci ha sparato nessuno.


Epilogo al sole (chi l’avrebbe detto?)

Il sentiero ad anello ci riporta finalmente alla macchina. Siamo asciutti, in magliettina, con il sole che ci accarezza il viso come una nonna gallese che ti pizzica le guance dicendo: “Brav’uomo, che bella scampagnata ti sei fatto sotto il diluvio universale!”. La stessa faccia con cui stamattina, dalla finestra della stanza, guardavamo la pioggia pensando seriamente di dover iniziare a costruire un’Arca. Io a fare Noè, Sara le istruzioni per il montaggio, Maddalena a domare le coppie di animali, con una pecora gallese in più che si era già autoinvitata.

E adesso invece eccoci qua, che camminiamo verso la macchina come se fosse la scena finale di un film americano, con la camminata al rallentatore, il sole alle spalle, e noi tre (più ovviamente la pecora spia che si è riaggregata al gruppo con nonchalance) come la versione alpina dei Guardiani della Galassia. C’è solo un piccolo dettaglio che rovina l’epicità: i nostri scarponi fanno ciap ciap ad ogni passo, come se camminassimo con due calamari ai piedi.

Arrivati alla macchina, scatta il rituale del “bagagliaio-magico”, quel momento in cui cerchi disperatamente un asciugamano, ma trovi solo:

1. Un calzino orfano (che nessuno riconosce)

2. Un pezzo di pancarré fossilizzato

3. Una mappa del Galles che sembra una pergamena dei Pirati dei Caraibi.

La pecora, sfrontata come sempre, si autoelegge “direttore delle operazioni di asciugatura” e inizia a strofinarsi contro la gamba di Sara. Maddalena ride come se avesse appena visto il cartone animato della sua vita. Io, nel frattempo, sto ancora combattendo con i pantaloni tecnici che dopo tre ore non hanno ancora deciso se asciugarsi o trasformarsi in spugne.

Ci guardiamo intorno, e il paesaggio che ci circonda è talmente idilliaco che quasi ci aspettiamo di vedere uscire un Hobbit con il cestino del picnic. Però la cosa più assurda è che adesso, in questo momento perfetto, il Galles sembra farci l’occhiolino, come per dirci: “Avete superato la prova, ora vi regalo un pomeriggio spettacolare”. E infatti, pochi minuti dopo, le nuvole si aprono come le tende di un teatro e rivelano un cielo che sembra dipinto a mano.

Con la solennità di chi ha appena conquistato la cima del K2 (anche se tecnicamente ci siamo solo bagnati come dei pesci), ci rimettiamo in marcia. La pecora, senza alcuna intenzione di scendere, si è ormai ufficialmente insediata sul sedile posteriore, sgranocchiando il nostro brownie del packet lunch con aria di chi ha vinto la giornata.

Ed è proprio mentre riprendiamo la stradina larga come un fil di ferro, che Sara si gira verso di me e dice:

— “Comunque, se domani ci svegliamo e c’è il sole, io mi metto il costume.”

Maddalena esplode in una risata.

Io, invece, penso seriamente di portare la pecora con noi. Almeno ci avviserà delle curve.

Ecco il Galles, ragazzi.

Dove in meno di sei ore puoi passare dal remake di Master & Commander a sentirti parte di un musical country sotto il sole, con una pecora che ti ruba il dessert.

La magia di questa terra sta proprio qui: ogni giornata è un film, e tu non sai mai se ti daranno la parte da protagonista o da stuntman.

E mentre rientravamo all’hotel, col sole che lentamente scendeva dietro le colline e l’odore di erba bagnata che riempiva l’aria, mi è venuto da pensare che forse il Galles non è un posto per chi cerca certezze. No, il Galles è per chi si lascia sorprendere. Per chi non si spaventa se il meteo cambia idea ogni dieci minuti. Per chi accetta di camminare con le mutande fradicie ma con il cuore leggero.


Quando il Galles smette di innaffiarti e ti imbocca come un lord

Però, prima di lasciarvi con la visione romantica di noi tre (più la pecora spia) che ci asciughiamo le mutande al tramonto, manca un ultimo capitolo fondamentale di questa giornata: la cena.

Dopo una giornata di pioggia orizzontale, vento a 80 km/h, e sentieri con avvisi di morte certa, sedersi ad un tavolo ben apparecchiato (c’era pure il tovagliato) è il miglior balsamo per l’anima. Ed è qui che il Galles, che finora ci aveva deliziato con meteo imprevedibile e paesaggi mozzafiato, ha deciso di stupirci anche a tavola.

Sì, perché quella che ci siamo ritrovati davanti è stata, senza alcun dubbio, la cena più buona finora in Galles.

Abbiamo optato per il menù degustazione — scelta che, va detto, inizialmente faceva un po’ tremare i polsi: di solito nei menù degustazione c’è sempre la portata “trappola”, quella che lo chef mette per sfidare i clienti coraggiosi (tipo il gelato al cavolfiore). Ma qui no. Miss en place perfetta, con tovaglioli che avrei potuto usare per lucidare un diamante e posate disposte con una geometria che nemmeno Pitagora avrebbe osato correggere.

Dopo incedibili e afrodisiaci antipasti il primo boccone è stato una rivelazione: halibut delicatissimo, cotto a bassa temperatura, accompagnato da una salsa che giocava con acidità e dolcezza come un direttore d’orchestra in piena ispirazione. Non un’esplosione di sapori, no, sarebbe troppo banale. Qui si parlava di onde, di crescendo, di carezze al palato.

E poi — perché il Galles è terra di contrasti — è arrivata la carne di agnello, che è un po’ come giocare in casa. Ma attenzione: non era la solita carne “da pub”. Era una sinfonia di consistenze, un equilibrio perfetto fra succulenza e rosolatura, con un contorno di verdure che sembrava uscito da un trattato di botanica gourmet. Se avessi voluto, avrei potuto scrivere un haiku su ogni morso.

Ogni passaggio era studiato al millimetro: nulla di pretenzioso, tutto di altissimo livello. Era come se lo chef ci avesse osservato tutto il giorno, sotto la pioggia, e avesse deciso di regalarci il suo personale riscatto del meteo.

Sara, tra un boccone e l’altro, lanciava occhiate che dicevano solo una cosa: “Questa cena la racconteremo a tutti.” Maddalena, che fino a ieri identificava “buono” con “tanto ketchup”, ha gustato ogni singola briciola come se fosse la cosa più normale del mondo.

La pecora spia? Non l’abbiamo vista per tutto il pasto. Ma giuro che nel parcheggio dell’hotel, c’era un batuffolo lanoso appoggiato contro il finestrino della cucina, con aria di chi stava giudicando la mise en place anche da lì.

Una cena spettacolare, degna conclusione di una giornata che avrebbe potuto abbattere il morale di un meteorologo.

E in fondo, non è proprio questa la vera essenza del viaggio? Quella sottile follia di infilarsi in strade che nemmeno i gatti percorrono, di ascoltare i consigli metereologici di una pecora sul sedile posteriore, e di scoprire che, a volte, la deviazione imprevista è la parte migliore del percorso e farsi impressionare dalla delicatezza intellettuale di un cuoco che anche da noi farebbe faville.

C’è una lezione gallese che oggi ho imparato (e che la pecora, guardandomi, sapeva già da tempo): non serve combattere contro il vento, basta sapere da che parte soffia per lasciarsi trasportare.

Domani ci aspetta la sfida dei 900 metri di dislivello. Ma per oggi va bene così. Un castello diroccato, una cascata impetuosa, una pecora con velleità di copilota e una cena a dir poco perfetta ci bastano per dire che questa giornata è stata perfetta.

E sì, probabilmente domani, quando saremo in cima, sarà proprio la pecora a fare la foto di vetta.