Sentiero F4 – Trincee delle Redutte: quando l’escursionismo incontra la storia (e un po’ di nebbia)
🥾 Scheda Tecnica – Sentiero F4 (Trincee delle Redutte, Novezza)
| Caratteristica | Dettaglio |
|---|---|
| 📍 Località | Novezza (Ferrara di Monte Baldo, VR – Lessinia orientale) |
| 🛤️ Percorso | Anello |
| 🔢 Segnavia | F4 – Trincee delle Redutte (indicazioni locali, parzialmente segnalato CAI) |
| 📏 Lunghezza | Circa 5 km |
| ⛰️ Dislivello | Circa 250 m |
| ⏱️ Durata media | 2h 30 min (a passo tranquillo con soste) |
| ⚠️ Difficoltà | E – Escursionistico |
| 🥾 Consigli utili | Scarponi da trekking, bastoncini utili, mappa/gps in caso di nebbia |
| 🌳 Ambiente | Prati d’altitudine, bosco rado, resti storici e trincee della Grande Guerra |


Chi l’ha detto che per vedere cose straordinarie bisogna andare lontano? Questa volta ci siamo diretti a Novezza, piccolo angolo di Lessinia già di per sé affascinante, ma che in questa giornata di maggio ci ha regalato qualcosa in più: un’escursione tra panorami verdi, trincee della Grande Guerra e un silenzio che sa di passato. E anche un po’ di nebbia, che non guasta mai per dare atmosfera.
Spoiler: abbiamo trovato nebbia, trincee, pecore modificate geneticamente (forse questo no), storia e un paio di dubbi esistenziali. E tutto questo in meno di 6 chilometri.

Il punto di partenza: Novezza e i suoi silenzi
Arrivare a Novezza è semplice. C'è una strada, ci sono i cartelli e c'è anche Google Maps, che in certi momenti pare più incline all’avventura di noi. Ma alla fine, la macchina l’abbiamo parcheggiata, il thermos di caffè l’abbiamo dimenticato, e il cellulare aveva campo solo se appeso a un ramo con le mani alzate. Una volta parcheggiato, ci si lascia alle spalle la macchina e anche un po’ il mondo moderno. Attorno solo prati, qualche mucca probabilmente in ferie (nel senso che non ce n'era nemmeno una, ma si sa a Maggio ci sono le offerte per Sharm el-Sheikh), e il suono del vento tra gli alberi.

Inizia l’avventura: pietre, storia e muretti storti
Il sentiero F4, noto come “Trincee delle Redutte”, parte tranquillo, quasi timido. Si cammina su una strada sterrata che invita alla chiacchiera, ma attenzione: basta poco e il percorso comincia a svelare il suo vero carattere. Iniziano le prime salite, i muretti a secco storti (ma eroici) e quel sottile disagio che nasce quando il sentiero non ha segnaletica per qualche minuto di troppo.
Poi però arrivano loro: le trincee.

Scavate, consumate, alcune ancora protette da piccoli parapetti in pietra. Le trovi lungo il crinale, in mezzo ai prati, quasi a ricordarti che sì, qui si facevano le guerre, mica i picnic.
Il bello è che non ci sono barriere, cartelli invasivi o audioguide bluetooth. Ci sei tu, la pietra, e magari un paio di rosari colorati appesi a un bastone incrociato. Un momento semplice, umano, quasi commovente.

A un certo punto, il sentiero ci regala il suo colpo di teatro: nebbia. Densa, uniforme, avvolgente. In realtà eravamo sul Baldo, ma il mood era da fiordi norvegesi. L’effetto è magnifico: ogni abete sembra un attore in attesa del suo monologo, e il panorama diventa una tela bianca da immaginare.
Pecore e altre presenze montane
Un capitolo a parte lo meritano le pecore. Appaiono all’improvviso, in gruppo compatto, come se stessero aspettando noi per iniziare un rituale. Non si muovono, ti guardano, giudicano in silenzio. Una, in particolare, sembrava meditare su Kant. L’abbiamo chiamata Agnese. Anche se le ho viste solo io, la mia compagna non si è accorta di nulla, questa sera lei riuscirà a dormire.
Poi ci sono i gracchi, i corvi alpini e qualche camoscio a distanza siderale che probabilmente rideva di noi. Natura, insomma. Quella vera, che ti guarda dall’alto in basso senza fare storie su Instagram. E che soprattutto non si fa vedere... infatti non abbiamo visto nulla!
Le trincee: silenzio, rispetto e... rosari colorati
Man mano che si sale, il verde si intensifica, i rumori si attenuano e il sentiero si stringe. Ed è lì che iniziano a comparire le trincee vere e proprie. Alcune conservate benissimo, altre più timide, quasi nascoste tra l’erba. In un punto, sopra un cumulo di pietre, troviamo anche una piccola croce fatta con due bastoni, decorata da rosari ormai scoloriti. Un segno semplice ma toccante, che ti fa fermare un attimo e riflettere su chi ha camminato lì prima di noi, in tutt’altre condizioni.

L’anello si chiude (anche se il GPS dice di no)
Il bello di questo percorso è che è ad anello, quindi si torna al punto di partenza senza ripassare dagli stessi posti. O almeno, questa è la teoria. La sensazione che continua a pervadermi è che non era solo un loop spaziale ma anche temporale... se non erro siamo partiti da Verona la mattina del 18 maggio 1967...
Alla fine però l’abbiamo chiuso l’anello, con un buon dislivello alle gambe, qualche sasso nelle scarpe e la sensazione di aver vissuto qualcosa di più profondo di una semplice camminata.

Conclusioni (e sete)
Alla fine, l’escursione è stata perfetta. Non nel senso di “senza errori”, ma nel senso di vera. Un piccolo viaggio dentro la natura e dentro la storia, con una scenografia degna di un film d’autore e la compagnia di amici, pecore e nebbie poetiche.
Se vi capita una giornata libera, un po’ di voglia di camminare e un animo curioso, fateci un salto. Portatevi l’acqua, una giacca antivento, e lasciate a casa le aspettative da Instagram. Questo è un sentiero che va vissuto con lentezza, rispetto e magari con una piccola croce di legno nella memoria.
Ah, e ricordate: se vedete Agnese la pecora, salutatela da parte mia.
Comments ()